La coscienza del male è uno di quei libri che io chiamo “comodino”.
Lo leggi, forse troppo in fretta, perché la storia ti prende e vuoi sapere come va a finire. Ma quando lo hai terminato non riesci a riporlo in libreria, in mezzo agli altri e lo lasci sul comodino. Hai bisogno di tenerlo vicino a te qualche altro giorno, ogni tanto lo riprendi in mano, ricerchi questo o quel passo, quella frase, quello stralcio importante che ti ha lasciato qualcosa dentro, perché non sei ancora pronto a staccartene completamente.
Gran parte di questo romanzo ruota attorno al commissario di polizia Adriano Zenotti, meglio conosciuto come Zeno, che uccide senza un reale motivo. Non ha un passato turbolento da riscattare, non ha subito traumi infantili o esperienze negative nell’adolescenza. A lui, uccidere piace e sceglie le sue vittime in base a un preciso e personale codice amorale.
“Non sono mai stato molestato, non ho mai avuto problemi con bulli, né tantomeno con la mia normalissima famiglia. Non ho mai commesso neanche un gesto che possa essere considerato precursore della mia singolare attitudine all’omicidio. A dirla tutta, a me uccidere piace e basta. Non è una pulsione, non penso a nulla di sessuale e non mi eccito affatto quando termino una vita. Da bambino ero sempre molto calmo, troppo calmo. Oggi, probabilmente, quel mio atteggiamento apatico verrebbe notato, esaminato, valutato in un certo modo. Di sicuro sarei sottoposto a quella che si definisce “educazione emotiva” o roba del genere.”
Sembra impossibile poter empatizzare con un personaggio simile, un assassino spietato che per di più veste i panni di un poliziotto, ovvero di chi dovrebbe “servire e proteggere”. Eppure, vi assicuro che in men che non si dica, Zeno ti entra sottopelle, ti coinvolge a tal punto nel suo modo di vedere le cose che cominci a pensare come lui. D’altronde il mondo in cui si muove, ovvero la Roma bene delle palazzine piena di gente anonima che manco si saluta, dove chi dovrebbe svolgere un ruolo sociale pensa prima al proprio tornaconto, appare molto più “marcia” e caotica di lui. Un coacervo di male crudele e disorganizzato, dove lo spietato Zeno appare come un apportatore di ordine. Il suo.
E così suo malgrado, il commissario Zenotti si ritroverà a indagare sulla sparizione di un bambino, Tommaso, nipote del giudice Casagrande. Zeno, che è la coscienza del male, in questa storia sarà costretto a dover giocare una partita inaspettata dalla parte del bene, una partita che terrà il lettore incollato alle pagine, perché la posta in gioco è davvero alta. Una Roma dalle tinte noir, fa prima da sfondo e poi diventa sempre più protagonista con i suoi tentacoli. Il male si nasconde dietro a un bene apparente, dove ogni cosa sembra essere fuori dal proprio binario, e quando arriva il finale inaspettato ti trovi spiazzato e devi leggere tutto d’un fiato l'epilogo.
Quello che più mi ha colpita di questo romanzo è la fredda eleganza con cui Zeno agisce. Sempre lucido e razionale vive come un uomo apparentemente “normale” agli occhi degli altri, nascondendo l’oscurità dentro di sé. Il suo però non è un buio agghiacciante, non traumatizza, non fa soffrire, non spaventa, perché per lui, e noi che vediamo attraverso i suoi occhi, è la sua normalità. Nessuno sospetta mai di lui perché è in grado di gestire questa sua attitudine in maniera incredibile. Ha una compagna, un lavoro che gli piace. Potrebbe smettere di uccidere in qualsiasi momento, ma sarebbe come togliergli l’essenza del suo essere.
“Ho una pistola, eppure utilizzo metodi sempre diversi, non c’è nulla di prevedibile o categorizzabile in ciò che faccio. Anche per questo non mi prendono. Ecco perché non ci sono programmi tv in cui si parla di me, della mia storia e della mia caduta. Sono un elegante equilibrista che cammina su un filo d’argento. Non sono perfetto, lo sono i miei criteri.”
Claudia Proietti è stata magistrale in questa opera. Avevo già letto anche altri libri di questa autrice molto eclettica, eppure con Zeno si è superata. La sua è una scrittura immersiva, avvolgente, ed è piena di riferimenti culturali che si inseriscono nel tessuto della storia senza alcune pedanteria o saccenza e appaiono perfetti nel contesto, come nella favolosa citazione finale che rimanda al celebre omonimo di Svevo. Anche le motivazioni così apparentemente assurde del protagonista, il suo modus operandi così sui generis, finiscono per avere una logica così coinvolgente che uno si schiera dalla sua parte. Credo di non aver mai empatizzato in modo così intenso con un personaggio negativo. Questo aspetto mi ha trasmesso un significato così profondo e preciso che non potrò mai dimenticarlo e anzi aspetterò con trepidazione le prossime avventure di Zeno. Perché non possono non esserci.
L’ultima osservazione la faccio sulla casa editrice, Golem Edizioni. Quest’opera è l'ennesima conferma della bravura dello scouting Golem la collana Ombre, in particolare è una continua sorpresa di nuovi autori e di libri sorprendenti, curati nei minimi dettagli.
Il brano che mi risuonava in testa a ogni pagina, non a caso, è una delle mie canzoni preferite in assoluto: “Sad But True” dei Metallica.
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