Matteo B. Bianchi

INTERVISTA A MATTEO B. BIANCHI, SCRITTORE, EDITORE, AUTORE TELEVISIVO E TEATRALE

A cura di Eleonora Castellani

1. Innanzitutto vorrei ringraziarti per la disponibilità, è un onore oltre che un piacere averti nel nostro blog. Ti faccio subito la prima domanda: la pandemia del 2020 ci ha trasportato in una dimensione e obbligato a vivere in un modo a noi sconosciuto, tanti, devo dirlo, me compresa, si sono improvvisati scrittori, molti dei quali dimostrando talento, secondo te in fondo siamo tutti un po’ scrittori o tutti abbiamo semplicemente l’innato bisogno di raccontare e raccontarci?

Una bella domanda questa, sicuramente abbiamo tutti bisogno di raccontare, c’è però secondo me una grande confusione sul termine "scrittore", perché credo sia più corretto dire “narratore” nel senso che c’è un po', come dire, la presunzione di pensare che se uno scrive bene la lista della spesa allora sa scrivere, in realtà c’è una bella differenza tra il saper scrivere e il saper narrare, sono due cose molto diverse. Facendo l’editore vedo continuamente questo, leggo scritti che si presentano come possibili romanzi o racconti e invece non hanno niente né del romanzo né del racconto, e questo dice tanto. Si dice che in Italia c’è più gente che scrive di quella che legge, è di certo un’esagerazione ma sicuramente dietro questa affermazione c’è del vero, ed evidentemente non c’è una cultura elevatissima su cosa sia la scrittura vera e propria. 

2. Oltre a essere un editore collabori con diverse case editrici tra le più note, cosa pensi degli emergenti che scelgono il self publishing, è un errore dettato dal desiderio di vedere la propria opera concretizzarsi o è semplicemente una possibilità da usare come trampolino di lancio?

Allora, io non ho molta fiducia nel self publishing devo dire la verità ma per un motivo molto preciso, da un lato il self publishing toglie un ostacolo, che è quello di dover ricorrere a un editore per arrivare a dei lettori, con l'auto-pubblicazione invece l’autore arriva ai lettori che vuole, e su questo io non avrei nulla in contrario in realtà, purtroppo però la verità è che ormai la rete è oberata di testi auto-pubblicati e quindi non so come questi testi possano arrivare nelle mani dei lettori (parlando in termini di qualità). Il lavoro e il ruolo di un editore può essere frustrante per l’autore emergente, perchè significa inviare dei testi, aspettare una risposta, lasciare passare dei mesi e così via, ma l’editore è un filtro importante per il lettore, perché i libri che arrivano in libreria hanno già superato una serie di fasi, dalla lettura alle revisioni alle scelte più giuste per renderlo un buon prodotto, e quindi rappresentano in un modo o nell’altro già una garanzia per chi leggerà, rispetto alla giungla che sta diventando il self publishing. Capisco che per l’autore emergente sia più impegnativo fare la trafila dell’editoria classica ma sicuramente garantisce dei risultati migliori e un rapporto con il lettore più qualitativo. 

3. Cosa manca in questo momento all’editoria italiana?

Dico la verità, secondo me non manca niente, nel senso che l’editoria italiana, paradossalmente rispetto alla quantità di libri che vende è particolarmente viva e vivace. Tornando agli esordienti per esempio c’è una grande quantità di case editrici di qualità medio piccole che ospitano tantissimi esordienti così come ci sono esperienze di importanti case editrici come Einaudi o Solferino che hanno inaugurato negli ultimi due anni delle collane dedicate solo agli esordienti quindi parliamo di un mercato molto aperto ad accogliere voci nuove, voci giovani o che comunque si affacciano sul mercato per la prima volta e noi abbiamo anche un’editoria molto ricca di contenuti, ci sono case editrici specializzate nelle tematiche più varie e più curiose, io credo appunto che l’editoria italiana sia molto interessante. Siamo uno dei mercati che traduce più libri al mondo mentre per esempio è abbastanza normale vedere in America quanto poco arrivi dall’Europa. Secondo me è un po' bistrattato il mondo editoriale del nostro paese ma in realtà è un mondo pieno di iniziative e proposte interessanti. 

4. Rispetto ai tuoi inizi cosa è cambiato, un autore emergente secondo te ha più o meno possibilità?

Assolutamente ha più possibilità, e bisogna riconoscere che è cambiato molto anche il pubblico. In passato per un debuttante esordire per un grande editore era molto raro, oggi è molto frequente, ci sono stati anche dei casi clamorosi, pensiamo a Paolo Giordano con “La solitudine dei numeri primi” che ha esordito con Mondadori ed è diventato un caso mondiale, quindi è cambiato molto anche l’atteggiamento dei lettori che sono più disposti anche a leggere autori mai sentiti prima. Io posso affermare che se è vero che in Italia si legge poco è anche vero che i lettori forti, sono davvero forti, sono lettori molto aperti alle varie stimolazioni, sanno leggere un po' di tutto, sono lettori attenti, curiosi e critici. 

5. Finita la prima stesura di un romanzo qual è la prima cosa che fai?

In realtà io sono un autore molto disordinato, non ho dei rituali o delle abitudini particolari, tranne forse l’esigenza di scrivere fuori casa, mi concentro infatti più facilmente in un caffè o in una biblioteca. Inoltre non ho l’abitudine di fare una stesura per poi lavorarci sopra, in genere lavoro e riscrivo contemporaneamente, spesso non scrivo neanche in ordine cronologico, seguo molto l’ispirazione personale, magari scrivo il primo capitolo poi il quarto, poi l’ottavo e così via, per questo è difficile dire che sono arrivato alla fine di una stesura, è più un lavoro magmatico rispetto alle abitudini di altri autori, solitamente elaboro tutto in corso d’opera. Diciamo che prima cerco dei punti fissi e centrali poi torno a creare le connessioni che mancano tra loro. 

6. Scrittura, televisione, teatro, sei un autore a tutto tondo, di quale però non riusciresti proprio a fare a meno?

Non riuscirei a fare a meno sicuramente della narrativa. Non sono peraltro un autore molto prolifico, magari passano anche cinque, sei anni tra un romanzo e l’altro, e questo perché non ho una particolare ansia di pubblicazione, però scrivo molto, ho anche romanzi nel cassetto, non scrivo tutti i giorni, passano anche dei mesi senza che io scriva nulla, però la narrativa impregna la mia vita in tutte le sue forme, sono uno scrittore, un editore, curo una rivista, leggo i testi di esordienti, il mio è un vero e proprio legame con la narrativa, ho sempre a che fare con tutto ciò che la riguarda. 

7. Parliamo un po' di te, “La vita di chi resta” è la tua ultima pubblicazione, personalmente l’ho definito un graffio sulla pelle, c’è una frase che nella sua semplicità racchiude un significato che ha il peso di un fardello, scrivi infatti “Solo chi ci passa attraverso capisce. Solo chi ci passa attraverso sa.” ti chiedo: la vita di chi resta va semplicemente avanti perché deve? Per chi entra nel tunnel e “ci passa attraverso” ad attenderlo all’uscita ci saranno solo domande o anche risposte?

Diciamo che è una vita che uno deve scegliere di vivere, perché quando sei un sopravvissuto come me, sopravvissuto al suicidio di un’altra persona, per il resto della vita ti rimangono dubbi, rimpianti sensi di colpa e quant’altro, però a un certo punto bisogna capire che per andare avanti si deve accettare quanto accaduto  cercando di non farsi sommergere dal dolore e capire che in un modo o nell’altro devi continuare. Di fatto resteranno tante domande e la consapevolezza che nessuno ti darà le risposte. È un lungo processo di accettazione, e quando si arriva a essa è esattamente da quel punto che ricominci ad andare avanti. 

8. Hai impiegato oltre vent’anni per scrivere questa storia, come già hai dichiarato in altre interviste, hai provato a rimettere insieme tutti i frammenti per poi capire che in realtà sono i frammenti stessi a fare da filo conduttore, il tempo in questo è stato davvero di aiuto?

Il tempo più che di aiuto è stato necessario, perché per tanti anni ho cercato di immaginare come scrivere questo libro senza riuscire a trovare un modo, uno stile o una forma giusta. Quando ho iniziato a scrivere probabilmente ero pronto sia psicologicamente sia da un punto di vista narrativo, avevo preso la giusta distanza dal passato, e acquisito la maturità necessaria e l’esperienza per poter scrivere una cosa così.

9. Io ti ringrazio per aver scritto questo libro, perché ci porta in una dimensione che ovviamente non tutti conosciamo, tornando appunto al “Solo chi ci passa attraverso capisce…”, il tuo racconto è una presa di coscienza per tutti, perché siamo più propensi a pensare, seppur giustamente, a chi se ne va, ma più difficilmente invece a chi resta.

Infatti, l’attenzione solitamente è focalizzata su chi compie la drammatica scelta, e io mi rendo anche conto però che è comunque difficile rapportarsi poi con chi resta, anche una domanda qualsiasi può apparire inopportuna.

10. Siamo giunti alla conclusione e nel ringraziarti per la disponibilità ti chiedo: che importanza ha la musica nella tua vita, e soprattutto ti pongo la domanda di rito del nostro blog, se dovessi dare un titolo di una canzone a questa intervista quale sarebbe?

La musica è fondamentale nella mia vita, è presente in tutto ciò che faccio. Dare un titolo a questa chiacchierata è molto difficile, però visto che abbiamo parlato dei vari aspetti e dei vari momenti del mio lavoro e della mia vita ti dico It’s My life dei Talk talk.


"IT'S MY LIFE" - Talk Talk   https://youtu.be/cFH5JgyZK1I